domenica, Novembre 24, 2024
Ticivino – recensioni vini del Ticino

BARBARESCO GAJA – verticale 9 annate

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Quella di GAJA è una storia iniziata 4 generazioni fa, nel 1859, quando Giovanni Gaja si trasferisce dalla Spagna in Piemonte e dà inizio ad una tradizione vitivinicola familiare. Sono passati 150 anni da allora. Si sono succedute 4 generazioni di Giovanni, Angelo, Giovanni, Angelo … la famiglia ha nel tempo acquistato vigneti vocati e proprietà in belle posizioni e produce i vini di Barbaresco. Nel 1937 i loro vini sono già rinomati e costano un po’ di più rispetto agli altri Barbaresco. Il prezzo si avvicina al prezzi a cui si vendeva all’epoca il Barolo, di gran lunga più importante. Giovanni Gaja scrive sulle bottiglie il suo nome, Gaja, con caratteri enormi, cercando di giustificare in questo modo il costo superiore del vino. Il pensiero fu proprio quello di caratterizzare la bottiglia col nome del produttore, col lavoro del produttore, le sue fatiche, la sua passione. La strategia (Terroir e Marketing) risulterà vincente.

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Nel 1961 entra in azienda il figlio Angelo, tuttora alla guida della cantina, che porta, col tempo, importanti cambiamenti: riduce le rese; introduce l’uso della barrique al posto delle più grandi botti tradizionali; incomincia a vinificare separatamente le singole vigne; fino ad uscire anche dalla DOCG declassando il suo Barbaresco a Langhe Nebbiolo, con l’intento di aggiungere in questi vini una piccola percentuale (intorno al 5%) di barbera. Come dichiara in alcune sue interviste, Angelo Gaja vuole rimanere un artigiano del vino e perciò non aumenta la produzione in numero di bottiglie annue. Attualmente l’azienda Gaja possiede in Piemonte circa 90 ettari di vigna e produce intorno alle 300’000 bottiglie all’anno. Guido Rivella è l’enologo.

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Oltre a queste poche notizie relative alla storia della famiglia di Angelo Gaja, non si conosce altro. Non c’è un sito internet ufficiale dove poter reperire notizie, schede tecniche, fotografie. In rete si trovano i testi di alcune interviste, ma nessuna che riporta dati precisi e tecnici relativi ai vini. Non sappiamo come Gaja gestisce le sue vigne, in maniera più moderna, più vicina alla tecnologia, alla chimica, oppure segue i principi dell’agricoltura di tipo integrata, o addirittura è più vicino alla biodinamica. Si autodefinisce un artigiano del vino, ma non sappiamo quante ore trascorre nelle sue vigne e in cantina. Non sappiamo se privilegia lieviti indigeni o lieviti selezionati durante la vinificazione. Non lo sappiamo. C’è davvero poca trasparenza tra l’azienda e il consumatore, e questo mi spiace molto. Con Philipp, un amico, si discuteva infatti del tema ‘grande vino’ che è sempre legato al suo ‘terroir’, vale a dire che è sempre legato al vigneto, alla terra, cioè alle caratteristiche del sottosuolo, al clima, e soprattutto al fattore umano, cioè alle cure che il vignaiolo dedica alla sua vigna, alla sua filosofia, alla sua tradizione. Quando conosci tutto questo, allora si può incominciare a parlare di grandi vini. Comunque sia, ci siamo ritrovati questa sera di fine ottobre per assaggiare finalmente un’ampia panoramica di Barbaresco GAJA, dal 1977 al 2001, un vino che troviamo sullo scaffale a partire dai 150.00 euro.

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2001, alcol 14%, andamento dell’annata RP: 96T (annata straordinaria). RP 93/100 apr 2012, WS 93/100 febb 2005, GR 3 bicchieri apr 2011.

Colore rubino abbastanza carico con unghia appena accennata di color granato. Al naso subito sono colpita da note dolci di vaniglia, poi delicati frutti rossi, humus, un po’ di balsamico che aumenta col tempo facendo uscire più intense note resinose. Note di caffè e tamarindo. Al palato è molto fresco e minerale, è saporito e sapido. Morbido con un tannino rotondo. È senz’altro una bottiglia di grande piacevolezza di beva. È pronto anche se probabilmente fra qualche anno uscirà meglio. È il meno tannico di tutti. Non c’è potenza, non c’è irruenza, non c’è opulenza, ma molta e molta delicatezza e finezza, carattere che troveremo in tutte le successive bottiglie.

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2000, alcol 14%, andamento dell’annata RP: 90E (molto buona verso l’eccellenza). RP 92/100 ott 2007. WS 95/100 nov 2003. GR 3 bicchieri apr 2011.

Colore rubino abbastanza carico con unghia di color granato. Al naso note dolci di vaniglia. Sembra uscire qualche nota floreale in più rispetto al 2001. Poi tabacco, cacao, cuoio, radici, terra, humus. Al palato molta freschezza, un tannino più presente, ma sempre morbido e delicato, mai aggressivo. Caldo, equilibrato. Finale balsamico. Gustoso, saporito, persistente. Le note dolci continuano anche dopo ore che il vino è nel bicchiere.

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1999, alcol 13.5%, andamento dell’annata RP: 90E (molto buona verso l’eccellenza). RP 91/100 mag 2006. WS 92/100 apr 2011. WS 92/100 nov 2002. GR 2 bicchieri apr 2011.

Colore rubino abbastanza carico con unghia di color granato. Al naso ancora note dolci di vaniglia, frutti rossi, maggior intensità di profumi, più floreale rispetto alle precedenti 2 annate assaggiate. Note di caffè, cacao, cuoio. Al palato il tannino è subito più importante e presente, fine ed elegante. Fresco, caldo, equilibrato. È persistente. Lungo finale con sentori di cacao e caffè, note dolci.

questi primi tre vini sono buonissimi, delicatissimi, con un carattere boisè evidente ma non eccessivo, molta dolcezza di gusto con tannini presenti ed eleganti. Mineralità e sapidità. Equilibrio ed armonia. Eleganza e molta piacevolezza di beva, dopo 10 e passa anni dalla vendemmia.

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1998, alcol 14%, andamento dell’annata RP: 92T (molto buona verso l’eccellenza). RP 91/100 ott 2001, WS 92/100 nov 2001, JR 16.5/20 giu 2012, GR 3 bicchieri apr 2011.

Colore rubino abbastanza carico con unghia di color granato. Al naso le note dolci di vaniglia incominciano ad attenuarsi e a lasciare più spazio ai profumi più floreali, ancora del tamarindo, caramelle, e poi sentori terziari. Al palato il tannino è più marcato, fresco, caldo, molto persistente. Sorprendente bottiglia. Dolcezza finale.

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1997, alcol 12.8%, andamento dell’annata RP: 93E (molto buona verso l’eccellenza). RP 93/100 apr 2012, WS 93/100 febb 2005, GR 3 bicchieri apr 2011.

Colore rubino abbastanza carico con unghia di color granato. Al naso è leggermente pungente d’alcol con note di frutta sottospirito e marmellata di nespole. Al palato il tannino è ancora più astringente, ma sempre con finezza. Colpiscono le note dure tanniche, minerali e sapide in contrapposizione con una grande alcolicità. Sembra che ci sia un po’ di disequilibrio. C’è ‘molta roba’, più potenza, più sostanza. Scalda molto. Questa sua maggior abbondanza fa dire ad alcuni di noi che fra tutte le bottiglie, questo 1997 è il re! Non sono proprio d’accordo, anche se piace molto e me lo bevo tutto alla fine della serata! Piace, ma rispetto alle annate precedenti qui abbiamo un po’ di diseleganza. Abbondanza, ma non opulenza, e dolcezza, che non troveremo più da qui in avanti.

Questi altri due vini sono ancora più pronti rispetto alle annate assaggiate prima. Il 1998 è di sicuro il vino che più mi ha colpito ed entusiasmato.

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1996, alcol 13.5%, andamento dell’annata RP: 97T (annata straordinaria). RP 91/100 apr 2011, WS 91/100 ago 2000

Il colore da qui tende ad essere sempre più granato. Il naso non è pulitissimo, si percepisce un po’ di polvere e note leggermente tostate di caffè, è molto chiuso. Al palato è tannico, minerale, fresco. Retrogusto di frutta rossa. Caldo. Le note dolci, il tannino dolce, qui non c’è. Si ha una sensazione finale amarognola. Questo cambio di stile lo sentiamo anche con le annate che andiamo a degustare ancora.

frattura di stile tra il 1997 e le annate dal 1996 andando indietro. È ben vero che nessuna è perfetta e in ottimo stato, ma il gusto amaro dato dal tannino sembra rivelare un cambio di stile.

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1995, alcol 13.5%, andamento dell’annata RP: 87C (superiore alla media). RP 90/100 ago 1999, WS 94/100 ott 1998.

Colore granato. Al naso non è fine. Note di polvere e di catrame. Anche col tempo il carattere polveroso permane ed escono note ossidative. Al palato il gusto non è piacevole, insomma si può bere, ma rimane un finale amaro (non amarognolo) e un retrogusto di ossidato.

 

 

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1986, alcol 13%, andamento dell’annata RP: 89I (superiore alla media), WS 92/100 genn 1990.

Colore aranciato e naso completamente etereo con sentori terziari. Liquirizia, funghi secchi, catrame, ossidazione. Più passa il tempo e più restano solo le note ossidative e in bocca è amarissimo. Via.

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1977, Colore aranciato e molto chiaro. Il naso è pulito con note terziarie delicate, per nulla ossidate. Sorprende. Sentori di caffè e tamarindo. In bocca è tutto spostato sulla componente acida in contrapposizione a una ancor bella sensazione di calore. Poco equilibrio, ma grande sorpresa. Mi commuove riconoscere in diverse bottiglie ed anche in questa ’77 quella nota (antica) di tamarindo, che mi riporta ai tempi dell’infanzia quando in estate i ghiaccioli color marrone avevano il gusto di tamarindo e non (ancora) di coca-cola.

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e come sorpresa finale, Marco ci ha già versato uno straordinario SORÌ SAN LORENZO 1995, BARBARESCO DOCG, alcol 13.5%. Il colore si presenta di un rubino abbastanza intenso con unghia color granato. Il primo naso è ancora chiuso. Sembra sapere un po’ di credenza. Poi piano piano escono sentori floreali, con una delicata viola, e un accenno al sapone di marsiglia! Al palato è subito molto minerale (molto di più rispetto a tutti gli altri barbaresco assaggiati fin’ora), fresco, il tannino è di grana finissima. È saporito. Lungo finale, persistente, di sentori floreali, funghi, balsamico. La mineralità e la sapidità di questo barbaresco hanno assolutamente una marcia in più. Più lunghezza e più profondità. Con molta e molta eleganza.

Per ogni annata ho voluto riportare di proposito i punteggi di Robert Parker (RP), Wine Spectator (WS) e Gambero Rosso (GR), proprio perchè Gaja è il Barbaresco nel mondo. Prezzi importanti, quotazioni sempre sopra i 90 centesimi, bottiglie che sono diventate (nel mondo) il simbolo del grande vino italiano, insieme a pochi altri nomi.

Ma che cosa fa di un vino buono anche un grande vino?

Il Barbaresco di Gaia è BUONISSIMO, non c’è mai una parte che prevale sull’altra, e quando succede non lo è mai in maniera sgraziata e non elegante. Eleganza è di sicuro la parola che più descrive tutti questi vini.

A volte ci troviamo ad assaggiare un vino con un’alcolicità prevalente, ma riesce comunque a mantenere uno stile in termini di eleganza. I colori dei vini sono brillanti e cristallini, almeno fino al 1997 compreso. Oltre appaiono un po’ meno vivaci e un po’ più polverosi. All’olfatto i vini sono parecchio parsimoniosi. A volte il tannino è più importante, ma non aggressivo. A volte l’acidità è eccessiva, soprattutto in quelle annate più indietro, ma non ferisce il vino, che continua a vivere gentilmente. Le annate più giovani sono caratterizzate da un gusto più dolce e più boisè (non oso immaginare cosa saranno le annate più vicino a noi). Ci sono perfezioni e ci sono difetti, qua e là, che non disturbano e anzi, nell’insieme, diventano l’espressione dell’eleganza del vino. Sembra in questo esserci uno stile, un filo conduttore. Di certo tutti i vini assaggiati stasera si esprimono molto di più in bocca che al naso. Gusto, sapore, la mineralità, la sapidità, ci conducono in un ‘terroir immaginario’ (perchè non c’è dato sapere nulla sul lavoro in vigna e in cantina) che ci sorprende più per l’aspetto romantico e gentile, che per la forza del vulcano (e qui mi riferisco al NOME vino simbolo).

Una degustazione meravigliosa, ma alla fine continuavo a chiedermi se davvero stavo bevendo un grande vino! Con altre degustazioni e altri vini non ho avuto dubbi, mai. Ma adesso si! Più passano i giorni e più continuo a chiedermelo.

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Ho chiesto agli amici come pensano che sia un grande vino e ho ricevuto delle risposte: alcune legate alla poesia, al fascino, alla seduzione dei sensi, all’anima del vino che parla anche se ci sono difetti, alla personalità, al sangue, ai vini della memoria. Enrico mi dice che “i grandi vini sono e diventano parte della nostra storia, come l’aver incontrato persone speciali o aver vissuto situazioni emozionali intense, quando si beve, dentro al vino, la fatica, l’attenzione e la passione delle persone che lo hanno prodotto”.
Altre che andavano un po’ tutte a finire nel discorso legato al terroir e all’approccio del vignaiolo con la sua vigna. Roby mi scrive “il vino viene fatto principalmente dal germogliamento alla vendemmia, non in cantina, come erroneamente si pensa. Se in un vino riesco a sentire la vigna, il sole, la pioggia, la mano del viticoltore, le stranezze della stagione… allora posso dire che mi seduce. Io, per Terroir, intendo un insieme di fattori che sono si pedoclimatici, ma non solo, il modo di lavorare entra nel concetto di terroir”.

Insomma, prima di dare un giudizio sul BARBARESCO DOCG di ANGELO GAJA, vorrei sapere se questo vino è fatto principalmente in vigna oppure in cantina. Fino ad allora potrò solo dire di aver bevuto un vino BUONISSIMO. (GRANDE è un’altra storia).

Prosit

Vittoria Fagetti

29 ottobre 2012

alt Sono passati quasi 2 anni e finalmente riesco ad organizzare una visita in cantina: è il 24 aprile 2014, sono le ore 10:00 e sono davanti al portone verde della cantina Gaja a Barbaresco.

L’accoglienza è discreta e professionale. Incontriamo Gabriele, un collaboratore pubbliche relazioni che ci conduce nella storia della famiglia Gaja e poi nelle cantine, che ancora si trovano nel luogo originario della prima osteria appartenuta al bisnonno dell’attuale proprietario.

L’ambiente è sobrio, pulito, austero. Ci sono corridoi nei quali sono alloggiate grandi botti da 5000 litri. Nulla è fuori posto. Non si può leggere niente del contenuto delle botti: le informazioni sono coperte. Camminiamo. Ci troviamo all’inizio di un corridoio alla fine del quale si apre l’ambiente dedicato alle barriques.

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Gabriele ci spiega che tutti i vini rossi dopo la vinificazione riposano e si affinano per un anno in barriques, per un anno successivo nelle botti più grandi da 5000 litri e infine per un ulteriore anno circa in bottiglia.

Oltre la barricaia si trova la zona dedicata alla vinificazione, ma purtroppo Gabriele non ci accompagna a visitarla.

Ci racconta poi molti dettagli relativi alla viticoltura e alle pratiche che vengono adottate in vigna.

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Gaja possiede 120 ettari di vigna nelle langhe, suddivisa tra Barbaresco e Barolo. Non acquista uve da terzi e dal 1989 il numero di bottiglie prodotte annualmente è rimasto invariato (circa 300’000). Segno che lo spirito e la filosofia dell’azienda vuole restare nelle medie dimensioni, senza velleità espansive.

Durante la seconda metà degli anni ‘90 si è scelta una strada in viticoltura meno aggressiva e più rispettosa della vite: non si usano più fertilizzanti chimici, producono loro stessi un compost (da letame e lombrichi rossi), inerbimento tra i filari, semina di erba medica tra i filari, trattamenti con rame e zolfo, zero trattamenti chimici, viene usata una polvere di alghe marine per proteggere l’acino, le persone che seguono i vigneti sono tutti dipendenti, non  assumono personale temporaneo per la gestione dei vigneti.

altMi piace molto questo atteggiamento un po’ più trasparente. Il sipario rimane comunque chiuso per quanto riguarda la vinificazione e le pratiche di cantina. Riesco solo a carpire l’informazione che durante la vinificazione vengono utilizzati lieviti selezionati.

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Bella la degustazione proposta:

  • Barbaresco 2010
  • Sorì Tildin 2005
  • Gaja & Rey 2005

altBarbaresco 2010, nebbiolo 100%, questo Barbaresco è l’espressione di 14 vigneti di proprietä nel comune di Barbaresco, fermentazione per 3 settimane in vasche di acciaio, affinamento per 12 mesi in barriques, altri 12 mesi in botti di legno da 5000 litri e altri 12 mesi in bottiglia. Naso: un vino davvero giovane in cui spicca la nota di marasca sottospirito un po’ pungente, e una leggera nota di vaniglia. Al palato non potevamo che aspettarci una notevole astringenza data da un tannino importante. Molta freschezza, molta sapidità, molto calore.

Sorì Tildin 2005, Nebbiolo 95%, Barbera 5%, fermentazione per 3 settimane in vasche di acciaio, affinamento per 12 mesi in barriques, altri 12 mesi in botti di legno da 5000 litri e altri 12 mesi in bottiglia. Differente invece l’approccio con questa annata, molto più pronta e generosa al naso con sentori di ciliegie nere mature, un accenno di vaniglia, qualche spezia. Al palato emerge una grande freschezza e mineralità, accompagnate da un tannino elegante e già più morbido, non ancora fatto di velluto, ma apprezzabile e già godibile anche in una situazione o una serata più conviviale. L’alcolicità è importante. Il vino è persistente con una sensazione di dolcezza finale.

Gaia & Rey 2005, il 1983 è il primo anno di produzione, chardonnay 100% (impianto del 1979 a Treiso e Serralunga), vinificazione in acciaio per 4 settimane, affinamento in barriques nuove per 6 / 8 mesi. Naso: molto intenso e soprattutto complesso con sentori di mandorle, nespole, nocciole. Palato: sensazione di grande morbidezza e ancora molta freschezza in perfetto equilibrio. Grande ampiezza e complessità. Ritornano anche al gusto le note di frutta secca.

 

sigle:

  • RP = Robert Parker
  • WS = Wine Spectator
  • GR = Gambero Rosso

link Robert Parker Vintage Chart: https://www.erobertparker.com/newsearch/vintagechart1.aspx

articoli e interviste: http://www.decanter.com/news/blogs/team/503586/report-gaja-barbaresco-tasting
http://www.sgaitalia.it/blog/foglia/Comunicare-il-vino-secondo-Angelo-Gaja

articolo di un amico che ha partecipato alla stessa degustazione: http://lacintamilanese.blogspot.it/2012/10/giove-tonante-angelo-gaja.html

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29 ottobre 2012

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